Le chiamano così, una multitudine di lavoratori che si licenziano spesso senza un’alternativa già presente.
Un importante marchio dell’arredamento ha interpretato il fenomeno con lo slogan: siamo fatti per cambiare. Nello spot, Luca sistema uno spazio e immagina le parole che userà per licenziarsi: Caro direttore dopo averci pensato a lungo ho deciso di dedicarmi al progetto dei miei sogni. Sarà emozionante veder crescere giorno dopo giorno la mia nuova piccola impresa … e anche passare più tempo con mia figlia. Detto questo, e nella speranza che lei comprenda la mia scelta, mi dimetto. Cordiali saluti. Luca, Amministratore Delegato del mio tempo
Siamo nati per cambiare, e come racconta la storia di Luca scegliamo di farlo cercando il “bene” per noi e per gli altri.
Se siamo nati per cambiare come mai solo ora il mondo delle imprese si accorge di questa caratteristica squisitamente umana? Come mai molte aziende non si sono interrogate per tempo su come le loro persone stavano vivendo il lavoro?
Una prima conseguenza dell’ondata di dimissioni è la nascita di una situazione inedita: non sono più tanto i lavoratori e rincorrere le aziende ma sono quest’ultime che si mettono in pista per andare a cercare i talenti di cui hanno bisogno. Nel farlo scelgono strategie per rendersi attrattive. Quelle che utilizzano modelli convenzionali – alte remunerazioni, possibilità di carriera, lavorare per obiettivi e performance d’eccellenza – incontrano uno scenario inaspettato e capiscono, loro malgrado, che “non è solo questione di soldi e carriera”. Il principale paradigma che ha caratterizzato il lavoro in passato è saltato: lavorare duramente e “fare gavetta” per la carriera, oggi non convincono più.
I giovani, soprattutto, si orientano al lavoro con l’idea di dedicarsi alla professione purché sia rispettata l’armonia complessiva delle diverse sfere della loro vita. Per loro, ma anche per molti adulti, è normale decidere di cambiare. L’imperativo del “posto fisso” ha lasciato il posto all’idea del lavoro come possibilità di sperimentazione e crescita anche personale.
Questo mondo del lavoro così dinamico e aperto al cambiamento può rappresentare un’opportunità per l’intero sistema purché ci sia da parte di tutti i soggetti coinvolti – lavoratori e imprese – la disponibilità a cambiare il passo.
Le persone sono già cambiate. I giovani, ma non solo, cercano nel lavoro un senso di significato e benessere. Desiderano esprimere i propri talenti ma vogliono farlo realizzando la loro vocazione. Il lavoro è un luogo dove le persone vogliono stare bene, un benessere che è personale e relazionale. Ecco perché non basta garantire progressioni di carriera e denaro.
Le organizzazioni che desiderano essere attrattive, permettono alle persone di vivere esperienze significative dove mettere in campo attitudini e possibili vocazioni, costruiscono contesti relazionali di scambio e fiducia dove esprimersi e agire senza timore, creano ambienti dove tutti si sentono utili e valorizzati perché ognuno è in grado di capire in che modo sta contribuendo allo scopo dell’impresa.
Come spiega Sergio Casella in “La morale aziendale”: “ogni azienda dovrà misurare il proprio successo da come toccherà positivamente la vita delle persone. Il focus d’attenzione non saranno i processi e i risultati aziendali ma le persone che dentro le organizzazioni devono acquisire centralità”.
Per le aziende è il tempo di mostrare veramente di che pasta sono fatte, è giunto il tempo di far vivere e non solo dichiarare la scelta di dare valore alle loro persone.